
Ci siamo, si parte! Ho fatto il pieno di calore ed energia positiva domenica, festeggiando con gli amici i miei 50 anni e sono pronto!
Mentre aspetto l’aereo circondato dal mitico “Gruppo Vacanze Piemonte”, mi rimbalza in testa una domanda. Il che di per sé potrebbe anche essere interessante, se non che la domanda è “Ma in realtà cosa vado a fare a New York?”. Già, che ci vado a fare? Oltre alla Maratona, si intende. Vado a chiudere un cerchio, mi sono risposto. Un cerchio che non so neppure quando è stato cominciato ad essere disegnato. So solo che è aperto. E allora è bene chiuderlo.
Questo viaggio è iniziato a febbraio, forse, quando ho comprato il biglietto. O a dicembre dell’anno scorso, forse, quando ho deciso di partecipare. O due anni fa, forse, quando chiesi informazioni la prima volta. O cinque anni fa, forse, quando appena separato feci il primo chilometro di corsa e mi feci pure un selfie. O tredici anni fa, forse, quando capitai a New York per caso e vidi la maratona dal vivo e mi emozionai.
Questo viaggio è iniziato cinquant’anni fa, di sicuro. E il bello è che non è ancora finito. Però è come se ci fosse un prima e un dopo questo viaggio. Del prima ne ho fatto tesoro, del dopo ve lo dirò col tempo! Adesso è il momento di andare e di chiudere il cerchio. E niente sarà più come prima, ma un’evoluzione di quello che ero.
E per capire meglio la risposta che mi sono dato ho attinto ad una vecchia lettura (Avrò cura di te, di Gramellini e della Gamberale) che un’amica mi ha fatto tornare in mente nei giorni scorsi.
“Mi hanno sempre affascinato i maratoneti. Ogni loro corsa è un viaggio, durante il quale incontreranno culmini di onnipotenza e strapiombi di difficoltà. Per ogni maratoneta c’è sempre un chilometro di piombo in agguato. Quando i pensieri si appesantiscono assieme alle gambe e la mente si rifiuta di continuare a sopportare il dolore e vorrebbe soltanto fermarsi al bordo della strada. E’ al fondo di quel chilometro che si sceglie se arrendersi o avanzare.
La crisi non è ancora passata e nessuno in coscienza può dire se e quando finirà. Ma il maratoneta fa una scommessa con il proprio destino e decide di rinviare la resa di un altro metro, e poi di un altro ancora: finché le gambe ricominceranno a respirare un’aria più leggera. Tornato a casa, scoprirà di non essere più lo stesso. Quel chilometro di piombo lo ha trasformato. Gli ha insegnato a oltrepassare la paura e adesso nulla potrà più spaventarlo.
È di questo che andiamo in cerca nei nostri viaggi. Di una prova che ci consenta di comprendere meglio chi siamo e di dare valore a ciò che abbiamo. L’eroe combatte sempre per un obiettivo: tornare a casa. Potrebbe restarci fin dall’inizio, ma sa che non sarebbe la stessa storia. Se vuole amare la sua casa in maniera consapevole, deve prima lasciarla, dimenticarla, addirittura rinnegarla. Per poi iniziare a struggersi nel ricordo e, superata la prova della lontananza, decidere in piena libertà di farvi ritorno. Soltanto allora sarà in grado di apprezzare ciò che aveva già prima, ma non era in grado di comprendere.
Il tesoro che cerchi si trova sempre dove sei, ma come faresti a saperlo se non andassi a cercarlo da qualche altra parte?”
La maratona ti insegna che non occorre essere un grande uomo per fare una grande impresa. La maratona ti insegna che se vuoi, puoi. Tutto il resto, come direbbe il grande Califfo, è noia…