Cronache dall’Inferno

“Le storie più belle vanno vissute, non raccontate”. Questo era lo slogan dell’UltraTrailMugello 2018. Non sono totalmente d’accordo. Le storie, secondo me, vanno vissute, e poi, anche raccontate. Perché come dice Danny Boodman T.D. Lemon Novecento (una delle storie che non potete lasciarvi scappare, la trovate qui…) prima di lasciare il Virginian, “non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla”. E allora eccovela, perché non sono affatto fregato.

E’ un anno che non corro un Trail, e quello di anno scorso anno era il primo in assoluto. Come esperienza complessiva direi un po’ scarsa, per usare un eufemismo. Quindi si riparte con poche certezze, ma ce le faremo bastare!

La prima certezza è che le scarpe di anno scorso mi hanno assassinato nella lunga discesa verso il traguardo. Troppo tassellate. Quest’anno si cambia, allora, ed ecco le Hoka Speedgoat, testate in qualche uscita di trekking e su corse in sterrata, al posto delle Salomon Speedcross.

La seconda è che un trail non è una corsa su strada e che negli ultimi mesi ho lavorato molto su velocità e poco sul potenziamento e la resistenza aerobica. Ci sarà da soffrire, poco ma sicuro.

La terza è che sto bene e che l’obiettivo sarà quello di scendere sotto le 4 ore.

IMG_4001Si parte alle 9, anche se con Ilario siamo in largo anticipo per gustarsi l’atmosfera della Badia di Moscheta e fare con calma il ritiro del pettorale e del pacco gara. Piano piano la zona della partenza si popola e si incontrano tante facce amiche. D’altronde giochiamo in casa! Pronti via e il sentiero sale subito. Ilario se ne va, lo vedo in forma e farà un tempone, nonostante sia al suo primo trail. 4km senza tregua per arrivare fino alle case del Giogarello, poi un altro in single track per arrivare in cima a Monte Acuto.

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Passaggio al Giogarello

Nemmeno il tempo di godersi lo splendido panorama che ci buttiamo a rotta di collo (e anche di diversi legamenti!) verso il primo ristoro, al Rifugio Serra. Guardo il cronometro e scopro di essere in vantaggio di tre minuti rispetto all’anno scorso, e non ho neppure tirato in salita! Bene, penso. Al rifugio arriva Alessandro, con il quale mi rimetto a correre nello stradello che porta in un divertente “mangia e bevi” alla Fonte della Cagna Morta. Corro con facilità, ma qualcosa non funziona. Nelle salite mi sento svuotato di energia, non riesco a tenere il passo di nessuno. Mi aiuto con i bastoni ma non basta. Prendo un gel ma non ne sento l’effetto. Controllo i battiti, sono bassi. Sembro l’orsetto della Duracell quando finisce le pile. Vorrei, ma non posso. Una sensazione bruttissima. Provo a recuperare anche in pianura, aspettando di ripartire a correre ogni volta che la salita finisce. Si scende in single track verso il Molino dei Diacci, ma la situazione non migliora. Al guado del torrente rischio anche di finire lungo disteso nel letto del fiume! Mi passa Marica, ha un bel passo, la vedo tranquilla. Al termine della piccola salita mi appoggio sui bastoni, sono un sacco vuoto. Ripasso mentalmente tutto quello che avrei dovuto fare e ci trovo diverse falle: mi sono allenato blandamente dopo la Mezza di Firenze, ho fatto le ripetute in salita giovedi, ho dormito poco e male,  ho evitato di riposarmi a sufficienza, ho curato in modo approssimativo l’alimentazione. Ok, mi dico, segna e porta a casa. Passo alla Cascata dell’Abbraccio con l’idea di fermarmi a metà percorso, e le ultime salite verso il Rifugio dei Diacci mi convincono definitivamente.

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La Cascata dell’Abbraccio

Al 12esimo chilometro, esattamente a metà percorso, ecco il ristoro. Chiedo informazioni su come raggiungere via strada la partenza. Poi vedo passare Noemi, Dario, Luca. Ognuno porta con sé la sua dose di fatica, di sofferenza, ma anche la grinta di voler arrivare in fondo. Grazie ragazzi, mi avete aiutato senza saperlo. Mangio un paio di fette con Nutella, un po’ di sali e riparto nello splendido scenario della Val Cavaliera. Quassù vive una coppia di aquile e spesso si riescono a vedere, specialmente dal Poggio dell’Altello, ma con tutto questo passaggio mi sa che hanno preferito la riservatezza. Ho sbirciato il cronometro, sono in linea con la gara di anno scorso, ma decido di non guardarlo più, non ho bisogno di altro stress. Cambio l’obiettivo in corsa: invece di scendere sotto le 4 ore, il vero risultato di oggi sarà arrivare, nonostante questa inaspettata debacle. E poi all’arrivo ci sarà qualcosa di particolare, e non ho voglia di perdermelo per niente al mondo. Mentre corro e cammino verso il bivacco di Ca’ di Cicci, mi supera un ragazzo seguito da un cane e penso che in questo momento avrei voluto accanto il mio fido Numa. Quante volte ci siamo inerpicati su questi sentieri, e che felicità vederlo scorrazzare felice su e giù per i prati, inseguire qualche capriolo nel bosco oppure rinfrescarsi in qualche ruscello da vero Labrador.

La parte apparentemente più tosta finisce quando si incontra la strada bianca che riporta al passo della Sambuca. Si prende a sinistra e dopo un paio di curve ecco il Bivacco di Ca’ di Cicci, con un altro piccolo ristoro. Da li si scende senza soste passando prima per il borgo disabitato di Pian dell’Aiara fino a La Lastra. Un altro guado sul Rovigo, che va attraversato tenendosi ad una fune, e poi un ultimo tratto di pianura, fino al ponte che segna l’inizio della Valle dell’Inferno, citata da Dante nella Divina Commedia. Mancano ormai due chilometri, da fare in quota su un single track con vista a strapiombo sul Torrente Veccione. Mi passa Cristiana Follador, vincitrice delle ultime due edizioni della 60km, ha un ginocchio sbucciato e il sangue ormai rappreso sulle gambe. Le chiedo come va e lei mi risponde “male”. Eppure è seconda! Mi faccio coraggio e penso che alla fine tutto è relativo… Ormai ci siamo, esco dal bosco e cammino gli ultimi metri prima dell’ingresso nel chiostro della Badia di Moscheta. E’ andata male, poteva andare peggio, poteva piovere. E quindi, passato il traguardo, sorrido a quello che ho trovato alla fine del viaggio. Perché ogni viaggio ti regala sempre un motivo per ripartire: spesso durante, a volte solo in fondo. E sorrido soprattutto perché oggi ho capito che preferisco viaggiare con la musica alta e il finestrino abbassato, piuttosto che arrivare coi capelli in ordine!

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